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Don Rosario Gisana, Vescovo di Piazza Armerina

Il Messaggio del Vescovo alla Comunità Diocesana

 

  Carissimi,

 prendo spunto dalla preghiera di Paolo, che si legge in Ef 3,14-21, per rivolgere a tutti un affettuoso saluto. Mi dispongo a piegare le ginocchia davanti a Dio, perché non mi faccia mancare la sua assistenza nel condividere una paternità che è riflesso della sua bontà di Padre. I segni di tale misericordia sono presenti ovunque, e laddove germina il bene la paternità divina rifulge, assicura e accompagna (cfr. 1Cor 3,7). Chiedo con umiltà che la mia testimonianza di fede in mezzo a voi, protesa a rimarcare la potenza di Gesù crocifisso (cfr. 1Cor 1,17-18), possa richiamare questa paternità (cfr. 1Pt 1,3-5). Non importano le modalità di espressione, legate spesso alle proprie debolezze: quello che conta è che ogni gesto possa rimandare a Dio, affinché non si perda mai di vista la centralità della sua signoria nella nostra vita. Comprendo che questo servizio innerva ogni attività pastorale e dà alla fede un senso di autentica ecclesialità. Anche lo spirito di comunione, che dovrebbe circolare abbondante nelle nostre relazioni, nasce da quest’attenzione al regno di Dio in mezzo a noi. Fiducioso nella potenza di questo regno, condivideremo assieme la gioia della testimonianza di fede, la quale permetterà che il vangelo arrivi a tutti e in particolare a coloro che lo custodiscono per diritto: i poveri (cfr. Lc 4,18; 7,22). Tale impegno incita ad avere uno sguardo di solidarietà verso quanti vivono nel bisogno. Piegando le ginocchia, chiedo allora al Signore che la sua paternità mi plasmi, per ascoltare con il suo cuore grande (cfr. 2Pt 3,9) le vostre attese e le vostre inquietudini e per estendere insieme con voi l’amore sovrabbondante di Cristo a quanti faticano nell’accoglierlo.
   

Sono grato a Dio per questo dono che siete voi. Egli vi rafforzi nella plasmazione dell’uomo interiore che è pienezza dell’inabitazione di Cristo (cfr. 1Cor 3,16-17). Ireneo, parlando dell’uomo interiore, fa capire che esso è segno visibile di comunione fraterna. Cristo ricapitola a sé ogni cosa e compie un atto d’amore gratuito: Egli «riunisce l’uomo allo Spirito, e colloca lo Spirito nell’uomo, per renderlo testa dello Spirito; e lo Spirito dà all’uomo di essere testa. Per mezzo di lui infatti noi vediamo, ascoltiamo e parliamo». Quanto afferma Ireneo nella sua opera Contro le eresie sembra esplicativo dell’espressione paolina «ricchezza della sua gloria», i cui segni si ravvisano proprio nel modo con cui si prova a condividere la comunione fraterna. Essa, che appartiene al dono della paternità di Dio, si attua migliorando il modo di incontrarsi: ci si vede reciprocamente con lo sguardo benevolo di Gesù, ci si ascolta con quella sensibilità che è soffocamento di ogni pregiudizio e ci si parla raccontando le meraviglie che il Signore compie nella nostra vita senza alcun merito. Ma quello che genera sbigottimento è che la nostra umanità, in virtù dell’amore di Cristo che oltrepassa ogni possibile conoscenza, si congiunge allo Spirito (cfr. Rm 8,9-11). La rappacificazione di ciò che in noi è sovente elemento di contrasto (cfr. Gal 5,17) è segno di quello a cui siamo stati chiamati per il battesimo: essendo già pienezza di Dio esercitiamo con gioia quella comunione fraterna in cui vigono le modalità dell’amore di Cristo.

A questo tendo e guardo, confidando in ciò che opera in noi: la dynamis del vangelo, la forza straordinaria della presenza di Gesù. Nulla turbi la testimonianza della fede, sia perché essa è sollecitata dall’attesa di Colui che tornerà allo stesso modo con cui gli apostoli l’hanno visto ascendere al cielo (cfr. At 1,11), sia perché il suo amore magnificente continua ad operare il bene con quell’elargizione gratuita che abbiamo appreso dalla sua croce (cfr. Ef 2,14-18). Mi unisco così alla preghiera di Clemente Romano perché quanto oso affidare al Signore possa largamente compiersi nella vostra vita: «Tu infatti Signore del cielo e re dei secoli, dona ai figli degli uomini gloria, onore e autorevolezza su quanto esiste in terra; tu, o Signore conduce a buon fine il loro volere secondo ciò che è buono e gradito davanti a te, affinché, esercitando nella pace e con mitezza, in maniera devota, l’autorevolezza da te ricevuta, ti trovino misericordioso. Te solo capace di attuare questo bene per noi anche in modo sovrabbondante, te solo confessiamo nella fede per mezzo del sommo sacerdote e protettore delle nostre anime, Gesù Cristo, per il quale a te la gloria e la magnificenza di generazione in generazione ora e nei secoli dei secoli. Amen».

 

Noto, 27.02.2014

 
 don Rosario